Alberto Martelli, poesie
Andare
(16.5.1953)
Non più a questo tavolo frusto,
non più in questa stanza affollata
di inutili cose,
rimarrai castigata
mia vita.
Ai mobili di vecchio gusto,
ai libri, ai quadri d'autore
ignoto e ai ricordi
più falsi di baci d'amore.
Non più.
Domani sarò povero povero,
domani sarò senza più niente,
partirò, come un emigrante,
per non so quali paesi.
Ma lontano, sì, lontano
che non riveda più la mia casa,
che non raggiunga un pianto di mamma
me vagabondo.
Domani sarò un povero mendico,
questa — forse — è la mia strada:
oggi sono troppo poco straccione
e troppo poco poeta.
Mangiare pane di frumentone,
bere l'acqua dei fontanili,
ogni notte un letto nuovo in fienili
che sanno di grilli e di sole.
Sedere su bianche pietre
nelle piazze polverose,
sulle scale di antiche chiese
silenziose e un poco tetre.
Guardare tutto quello che passa
uomini bestie nuvole giorni
e sentire che nulla ti tocca,
che non ti da pensiero
la breve filastrocca:
nascita culla morte cimitero.
Andare, andare, eterni viandanti
del mondo, cogliendo saggezza
con la polvere, per le strade.
E poi, quietamente, a sera
in un prato di lupinelle,
tra il murmure grave del fiume,
contare a una a una le stelle.