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Prefazione ad Altro Respiro

 

Non si faccia, a queste composizioni, il torto di una lettura affrettata e cumulativa. Esse non provengono da un'operazione culturale univoca, quali sarebbero una proposta sperimentalistica o la ripresa canonica di qualche amato modello.

Ne fa fede la loro discontinuità stessa, che tradisce la loro aderenza agli sbalzi d'umore dell'autore, alle ineguaglianze dell'ispirazione, ai differenti livelli di consapevolezza. Lo conferma, retrospettivamente, la datazione delle opere, che copre un vasto arco di esistenza senza che in esso siano rilevabili scelte stilistiche cronologicamente stratificate o influenze, di volta in volta prevalenti, di altri autori.

Nessuna intenzione di operazione culturale, dunque. Ma questa poesia, per virtù dello Zeitgeist ma anche di ben assimilate lezioni della letteratura contemporanea, è nondimeno figlia del proprio tempo: impensabile senza il  precedente del novecento italiano di Montale e Ungaretti, o di certo Sinisgalli, e memore di Valery, di Eliot e di Lorca.

E, parimenti, nessuno sperimentalismo? Se diamo retta all'autore, che, della propria poesia, scrive «Cerca le antichestrade/ed i nuovi argomenti», possiamo facilmente essere indotti a diagnosticare uno sfasamento tra novità dei contenuti e tradizionalità delle forme. Ma non dovrà interpretarsi come indizio di coraggio, meglio che di prudenza, lo sperimentare di fatto volta per volta, nella massima libertà programmatica e perciò nel massimo rischio, le possibilità di comunicazione in esclusivo riferimento agli irripetibili, personali ed insostituibili Erlebnisse che sono i veri modelli ai quali questi versi sempre si rifanno fedelmente? Sarebbe questo il semplice segreto per cui le composizioni, tutte scrupolosamente datate, al tempo stesso non hanno nulla di datato. Esse si situano dove avviene che il contingente si ribalti nell'atemporale e su questo evento, che è privilegio dell'arte, puntano la loro scommessa.

Ne sortisce una specie di diario poetico in cui l'io lirico, non ancora detronizzato da alcuna rivoluzione formale, può esaltarsi, rimpiangersi, illudersi in presa diretta con le emozioni del vissuto: e questo, ripetiamo, per antico diritto narcisistico del poeta ben prima che per consuetudine letteraria.

Tuttavia sarebbe inesatto asserire che le poesie di Altro respiro e quelle, di molti anni precedenti, di Quod scripsi…. le due raccolte pubblicate in questo volume, si dividano equamente i temi ricorrenti in questo autore: quelli paesaggistici, quelli intimistico-elegiaci, le riflessioni di poetica, le evocazioni del magico e profondo sud, gli impegni sociali e politici. Coerentemente con la logica lirico-diaristica, le composizioni più recenti attestano anzi decisamente l'evoluzione di Martelli verso forme nuove di sensibilità per il reale. Le evocazioni paesaggistiche si rarefanno per far posto a riflessioni politiche (Roma 9 maggio martedì, Canto di Marzo, Non si può, San Valentino, Libertà, Harrisburg, PA) in cui anche l'anarchismo individualistico della giovinezza trapassa, direi biologicamente, in più matura partecipazione civile; oppure a riflessioni sull'arte (Poeta, Canti Prévert, Cappella del Rosario). Ma il lettore potrà scoprire anche nuove corde, toccate per esempio con appropriata discrezione nelle rapide notazioni zen di «Certezza», «Piazza del Duomo» e «Ciò che conta» e la gestualità imprevedibilmente neo-espressionistica, quasi kafkiana, di «Mi fa un cenno così con la mano»; oppure nuovi armonici, più gravi, nelle corde usate, come quelli heideggeriani di «Come se non dovessimo mai morire». O, ancora, potrà presagire, ed auspicare, un ulteriore evolversi dell'arte di Martelli verso forme più audaci, distaccate e conchiuse, già dalle immagini oggettive e pregnanti di «In ricordo di Ignazio», una delle più belle poesie della raccolta.

Ma, sia nella fruizione dei versi più fatalmente, e immeritatamente, riassorbibili, specialmente ad una lettura veloce e superficiale, in luoghi comuni poetici, sia in quella, più frequente, degli esiti validi e suggestivi, potrà avere la certezza di trovarsi di fronte ad un modo indipendente ed autentico di fare poesia.

 

Giorgio Barbaglia

 

 

 

 

 

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