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Presentazione

 

di Vittoria Palazzo

 

Difficile stabilire se basta scrivere versi per essere poeta. Ancor più difficile - per non dire impossibile - è giungere a una definizione di POESIA.

“La poesia è un prodotto assolutamente inutile ma quasi mai nocivo" affermava Montale all'Accademia di Svezia in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel (12/XII/1975) e, in un succedersi di lucide riflessioni, finiva per considerarla "l’arte tecnicamente alla portata di tutti; basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto".

 

Eccomi dunque a presentare un ulteriore "gioco" poetico: "L'ipotenusa e la notte" di Alberto Martelli, che già ha pubblicato sillogi di tutto rispetto. Non credo gli dispiaccia l'assunzione del termine montaliano se è vero quanto mi è parso di cogliere del suo temperamento in lunghi anni di frequentazione artistica: una costante vena di autoironia variegata a volle di amarezza che gli si accende negli occhi intelligenti e accentua l’inafferrabilità del raro sorriso.

Bisogna leggere attentamente le sue composizioni per capirlo. Esse si presentano conchiuse in una forma ritmica fedele all'intramontabile struttura classica ma sono al tempo stesso libere da schemi obbligati. Alberto Martelli dispone i versi in armonia con i contenuti sicuro del proprio linguaggio come di una solida conoscenza metrica. Analogie, metafore, enjambements, gli permettono un risultato poetico ricco di suggestioni e musicalità. I suoi temi costanti sono quelli tipicamente esistenziali: l’amore - trattato con raro pudore di immagini - la relatività del tempo e quindi la ricerca del "qualcosa" che perennemente sfugge, i percorsi della memoria – nostalgia "sempre insaziata" (leggasi "Canzonetta") l'ostinazione cosciente all’illusione e al sogno(“Alle ombre del sogno" e “Ho caricato le mie illusioni”), il senso della morte trasceso nell'”oltre".

Talvolta l'andamento del verso assume toni profetici (“II giorno delle locuste"), talaltra è quasi filosofico, un filosofare disincantato che tenta opporsi al pessimismo latente. La natura e quasi sempre presente, si fa complice e partecipe (“Pioggia di pomeriggio", “Le mura che mai si muovono", "Ho visto"),costituisce uno sfondo ideale per la riflessione dell’Autore che non si limita tuttavia ad una atmosfera solipsistica ma affronta anche problemi sociali ("Eravamo noi", "Passeggiata degli orfanelli") e temi di attualità (“La scienza matrigna") dilatando il proprio orizzonte sino a cogliere le tragedie della storia che stiamo vivendo: guerra fra Palestina e Israele ("La stella lontana"), e la strage di Pechino ("II nostro cuore e sulla Tienanmen”), il muro di Berlino ("Piccolo teatro a Berlino").

 

Ecco dunque condensati in una sessantina di pagine argomenti diversi in gran parte di vasta profondità che il serpeggiare di quell'ironia, cui inizialmente ho fatto cenno, serve a smitizzare, a introdurre un senso di leggerezza. Ma: attenzione al "gioco"! E siamo tornali a Montale. II riferimento è inevitabile quando si legge "II frutto selvatico"... un frutto improbabile... nato quasi per sbaglio/ in un vaso, poi trapiantato… e affiorano alla memoria i versi montaliani "...  nella luce/ radente un moto mi conduce accanto/ a una misera fronda che in un vaso/ s'alleva..."

C'è però in Alberto Martelli una sorta di ostinazione all'ottimismo enunciata soprattutto in "Ritorno al futuro" quasi egli voglia riscattare l’inevitabile fatica del vivere, l’innegabile drammaticità delle

realtà che ne circondano, con parole di speranza. Pensando forse alle sue figlie cui il libro è dedicato ed anche a tutti i giovani (e non...) che si trovano a leggerlo.

Ne vale la pena. Fosse soltanto per tre composizioni, a mio parere, fra le più riuscite: "Alle foci del Danubio", "Alla notte", "La chiave". Potrà aiutare a sapere "chi sono veramente i poeti/gente che a volte si accorge/ di esistere e lo dice".

Alberto Martelli ce lo ha detto. Credo meriti di veder esaudito il desiderio espresso negli ultimi due versi a chiusura della raccolta: "Datemi poesia perch'io vada contento/ in un luogo che è tutto un canto fermo."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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