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Stasera

(25.12.1952)

 

Non serve sognare. Basta con gli inutili versi

che più tristi di un orfano

non hanno fatto piangere nessuno.

 

Stasera non c'è fantasia che mi cambi le carte

e il mio cuore è più stanco di mille illusioni messe in fila.

 

Non ho trovato il fiore, non ho trovato l'altra riva,

né la barca dei sogni, né la donna che non c'è.

 

Ho trovato soltanto il freddo giù per la schiena,

le lacrime ghiacciate agli angoli della bocca,

il fango sotto le suole,

le voci della città.

 

Il venditore di caldarroste che te le da mezze guaste,

il venditore di fiori, vecchi fiori rubati chissà dove,

una macchina più lunga di un collo di Modigliani,

un suonatore ambulante che s'è dimenticato di imparare a suonare.

 

E ciò che voglio stasera è tanto lontano da un tempo

che se potessi vedere la mia anima le sputerei in faccia.

 

Non voglio più scrivere quei versi idioti

dove le donne sono ricamate come su una pala d'altare,

dove le lacrime sono zuccherate di dolci disperazioni,

dove le stelle parlano e le voci sanno di carezze,

i versi idioti che hanno inventato l'impossibile.

 

Questa sera niente fragili creature,

la prima donna di strada sarà la prima soltanto,

poi verranno la seconda, la terza, la quarta...

 

E voglio bere alla libertà stasera,

libertà di dire pane al pane e vino al vino,

libertà di pensare il mondo quadrato se mi conviene,

libertà di sputare sugli amici e sui nemici indifferentemente,

libertà di sentirsi un uomo libero, infine.

 

Perché troppo spesso si è rimasti legati alle catene dell'astrazione,

 

della poesia, della letteratura, dell'arte.

 

Troppo spesso si sono creati paradisi artificiali,

oasi verdi ove chiudersi a sognare

le chimere dagli occhi turchini.

 

Stasera c'è solo la vita,

questa lurida esistenza di organismi tarati,

un'eterna simbiosi di fango e redenzione.

 

Esistono solo miliardi di bocche e di ventri

che vogliono essere riempiti

e in un modo o nell'altro bisogna riempirli, perdio!

 

Ché solo quando l'uomo ha saziato la sua fame e il suo piacere

possiamo per un momento ricordarci di te, Signore,

e bestemmiarti, ché non ci hai dato una sorte migliore.

 

 

 

 

 

 

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